giovedì 24 marzo 2016

"Danza, vola, sogna!" di Stefano D'Anna

Il mondo è come tu lo sogni

Ognuno a un proprio figlio vorrebbe dare la felicità, vorrebbe potergli indicare la via della prosperità. Ma come possiamo dare consigli ai giovani noi adulti se non abbiamo ancora scoperto chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?  Basterebbe un poco di sincerità con noi stessi per realizzare che non c’è nulla che possiamo dare ai ragazzi dall’esterno. Nessuno può può sottrarli al lavoro di conoscersi, di osservarsi, e scoprire chi sono, cosa vogliono.

“Danza, vola, sogna! Non stancarti di sognare!… Non fare come me!”. Ecco cosa dovremmo gridare ai nostri figli. “Che cosa ti fa palpitare il cuore? Che cosa veramente desideri? Cosa ti appartiene realmente?”.
Non esistono due sogni uguali. Non si può sognare in due, in tre o in mille. Il sogno appartiene all’individuo. La massa non può sognare e per questo non può creare. Difatti solo l’individuo crea… solo l’individuo sogna. Un ragazzo deve realizzare che ha già tutto dentro. Quando si è così giovani non è difficile scoprire qual’è il proprio sogno reale, unico, originale. Deve solo riconoscerlo e lasciare che il tempo lo renda visibile.

Non tarpate le ali ai ragazzi

Per ragioni professionali, per lavoro, ho vissuto molti anni nelle imprese. Ho selezionato giovani all’inizio della loro carriera, quando bussano con i primi timidi colpi alla porta delle organizzazioni. Ogni volta mi sono trovato di fronte allo stesso, apparentemente inspiegabile fenomeno: i ragazzi non sanno quello che vogliono. O meglio, l’hanno dimenticato attraverso quel lungo e penoso processo che gli adulti chiamano eufemisticamente educazione.
Così arrivano al loro primo appuntamento con il mondo del lavoro senza chiarezza di idee, soprattutto senza un ‘sogno’. Molte volte si sono impegnati a fondo, hanno fatto studi seri, ma senza una meta chiara. Hanno corso verso un destino di massa guidati dal caso. Nessuno in tanti anni di studi li ha mai incoraggiati a riflettere su se stessi, a conoscersi, a scoprire che cosa veramente amano. Nessuno, né genitori, né maestri, è stato attento ai segnali di una passione, ha spiato una propensione, si è accorto di un’attitudine, ha scoperto un talento. Quando un ragazzo sogna ad occhi aperti, quando allinea i modellini di auto da corsa sulle mensole della sua camera, se ascolta musica, quando legge e parla di sport, quando si sofferma per momenti eterni sulle ali di una farfalla o su un sassolino levigato dal mare, gli adulti/adulteri/adulterati corrono ai ripari. La loro educazione alla tristezza, al ‘buon senso’, li spinge ad accogliere questi segnali di entusiasmo, questi voli dell’immaginazione, con sospetto se non con avversione; e a ravvisare in queste attività, pericolose distrazioni dagli ‘impegni seri’, dallo studio e da tutto quello che ‘veramente’ prepara alla vita e alle professioni.

Cosa faresti per 24 ore al giorno?
Quello che ho detto a mio figlio vorrei ripeterlo a tutti i ragazzi della sua età: “scegli già fin d’ora il tuo lavoro per non permettere che sia un giorno il lavoro a scegliere te. Fallo adesso che la volontà non è ancora completamente sepolta, adesso che il sogno è ancora vivo e parlante. Quello che credi un semplice hobby, quello che ti fa gioire ogni volta che lo fai, sta indicando la direzione. Seguila senza deviare. Non imitare il sogno di nessuno. Scopri la tua originalità, la tua unicità. Il mondo è come tu lo sogni."

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domenica 13 marzo 2016

"L'individuo e la folla" di Stefano D'Anna


Agli individui dobbiamo dunque tutto quello che siamo e che abbiamo; eppure li abbiamo perseguitati, quasi senza eccezioni. Là dove nasce un individuo immediatamente si mette in moto una forza antagonista, una massa pronta ad eliminarlo. E questo giuoco mortale a guardie e ladri tra individuo e massa, iniziato nella notte dei tempi, ancora continua ed è il nodo gordiano della visione politica. L'eccidio degli innocenti è sollevabile a paradigma scientifico universale.
La massa è antagonista dell'individuo. Lo è sempre stata, senza eccezioni, ed ha disprezzato i suoi saggi sotto ogni latitudine ed in ogni tempo. L'individuo è vivo, la massa è antibiotica. E la lotta tra individuo e massa, la persecuzione dell'individualità, è una costante della nostra storia. Abbiamo bisogno dell'individuo, e allo stesso tempo, come specie, abbiamo un insopprimibile istinto di sopprimerlo.
Questo è il paradosso della nostra civiltà, il meno esplorato, il più oscuro, perchè ha le sue radici nella parte più profonda del nostro essere, là dove ancora echeggia l'ululato di un predatore notturno, l'eco di una nostalgia animale. Quando nasce un individuo è come se in mezzo a un'orda di leoni intenti a dilaniare e spartirsi la preda, uno di essi si rizzasse sulla zampe posteriori, si apparecchiasse la tavola e usasse le posate. Verrebbe sbranato all'istante.


L'individuo ci spaventa, la vastità delle sue idee, la sua fiducia incrollabile in se stesso, l'ampiezza della sua visione, la sua compattezza interiore, la sua luminosità, ci mettono in una condizione di dolorosità insopportabile e di fronte a un sinallagma vertiginoso. Nel Contratto Sociale di Rousseaux è riportato che, secondo Filone, così ragionasse l'imperatore Caligola:: o i popoli erano bestie, e quindi i re erano uomini, o i popoli erano fatti di uomini e allora i re erano dèi.
Soltanto incontrare un individuo, o ascoltarne la voce, o vederlo agire, ci mette di fronte alla nostra pigrizia, alla nostra bruttezza, alla nostra insopportabile deformità.
Lo sforzo richiesto per cambiare è troppo grande. Preferiamo eliminare il termine di confronto. Un colpo di martello al grillo parlante, la soppressione di questa voce che instancabilmente ci spinge ad essere di più, a diventare migliori, appare ogni volta la soluzione più semplice. Nell'isola di Efeso, quasi tremila anni fa, si fece un esperimento sociale ed uno dei primi tentativi registrati storicamente di eliminare l'individuo una volta e per tutte. Secondo Eraclito "gli abitanti di Efeso hanno scacciato Ermodoro, il migliore di loro, dicendo: non vogliamo avere nessuno che sia migliore tra noi; se c'è qualcuno che lo è, se ne vada altrove, tra gli altri".
Per questa cecità della massa Eraclito disprezza la folla. Non era chiaro allora, neppure ad uomini come Eraclito, e tantomeno lo è oggi, a uomini come noi, che la storia è dialettica e che l'agonismo tra individuo e massa, come tutti gli antagonismi, è creativo ed insopprimibile. La soppressione dell'antagonista, qualora riuscisse, si riverberebbe in una crisi tanto più ardua quanto più è imponderabile il vuoto che si spalanca davanti al vincitore. Ad una visione verticale, massa e individuo si mostrano come una sola realtà, due pistoni dello stesso motore. L'una non potrebbe esistere senza l'altro, così come non è immaginabile un bastone che abbia una sola estremità. Essi sono aspetti inseparabili di un'unica realtà.

L'unità dell'essere

L'imperatore della tradizione cinese classica nei momenti di difficoltà per l'impero si ritirava nella parte più segreta del tempio per incontrare le porte del tutto. Immobile, con il viso rivolto verso sud, provvedeva con le sue virtù superumane a che tutto l'impero restasse in accordo con il Decreto del Cielo. Egli, mentre il nemico si avvicinava, sapeva che la battaglia andava prima vinta interiormente, che doveva superare i limiti dentro di sé.   Quando aveva vinto i suoi limiti e sentiva la vittoria dentro, solo allora sarebbe arrivato un alleato o l'esercito avversario si sarebbe disfatto da solo, per malattie, per lotte interne o per qualche altro motivo.

Individuo deriva da indivisibile. Indica un uomo che ha raggiunto una compattezza interiore, un grado elevato di affidabilità, di incorruttibilità, di amore; che è riuscito a far convergere verso una sola direzione tutto quello che sente, che fa, che dice, che pensa. L'uomo di massa, che potremmo a questo punto chiamare "dividuo", è invece una legione, diviso tra mille 'io' in lotta perenne tra loro, lacerato da pensieri ed emozioni contrastanti, diviso da se stesso e dagli altri, senza lealtà, senza idee, senza amore.
La vera immagine dell’uomo ordinario non è quella patetica di Charlie Chaplin in “Tempi moderni”, vittima negli ingranaggi di una civiltà industriale, o almeno non lo è più da tempo; l’immagine dell’uomo è forse più quella di Woody Allen che di fronte a una donna desiderabile e bellissima che entra nel suo appartamento diventa uno spastico: i suoi pensieri, i suoi desideri e le sue parole viaggiano in direzioni completamente diverse. Quest’uomo frammentato, incapace di puntare in una sola direzione e di mettere insieme il pensare, il desiderare e il sentire, è certamente l'immagine crudelmente più emblematica della condizione dell’uomo ordinario. Potremmo dire, se dovessimo risalire all’origine di tutti i mali che uscirono dal vaso di Pandora, che la causa delle cause di tutti i problemi che affliggono l’umanità è questa mancanza di unità dell’uomo.


Nella tradizione giudaico-cristiana il peccato originale  è la divisione da Dio, la prima e più insanabile delle divisioni. L'individuo che ha raggiunto l'unità dell'essere sembra essere senza questo peccato originale. E questo gli dà la capacità di amare. Questa capacità appare come il più chiaro spartiacque tra gli uomini e il confine più netto tra queste due porzioni di umanità: gli individui e la massa. Se proviamo a rovesciare i termini di quella straordinaria equazione interiore: "ama il prossimo tuo come te stesso", essa mostra una inarrivabile conoscenza dell'animo umano. Amare se stesso è la misura ed allo stesso tempo il limite della capacità di amare gli altri. Questa è ancora oggi la visione più alta e la formula più potente per l'armonizzazione dell'eterno antagonismo tra individuo e massa.
L'individuo riesce ad amare la massa attraverso la comprensione che il prossimo suo è se stesso; che l'altro, l'opposto, non deve essere combattuto. Più lo combattiamo e più ci dividiamo. E questo spazio crea dolore, sofferenza, ignoranza. L'altro deve essere assorbito, integrato. L'assorbimento elimina la divisione e porta soluzione, dentro e fuori. Noi dobbiamo molto ai sognatori della storia, agli utopisti, ai filantropi, a tutti quei pazzi luminosi che si sono lasciati il mondo alle spalle senza fiato per l'incapacità di stargli dietro e che hanno fatto avanzare la nostra civiltà. Essi sono i precursori dell'uomo verticale, le cellule di questa nuova umanità che si sta formando e che, liberandosi dal pensiero conflittuale, ha la possibilità di trovare soluzione a problemi che la vecchia umanità si trascina da sempre. Ci sembra impossibile perfino immaginare una società senza lotta, il dibattito, le controversie ed il conflitto. E' una società capace di sognare. Per questo occorre una diversa psicologia, un pensiero verticale che non vede più il mondo attraverso gli opposti, con una logica binaria, ma attraverso i livelli e i gradi di una scala qualitativa.
Per cui se condotta da un uomo verticale la politica è gioco. Se condotta da un uomo orizzontale la politica è arroganza, vanità, prevaricazione, odio e morte.

La politica intesa come divisione e conflitto è finita. E' morta. Essa non ha soluzioni a meno che salti di grado, di livello, di piano..La politica come noi la conosciamo è un'espressione statica dell'esistenza; ma resa dinamica, verticale, essa diventa l'arte del sognare. Nasce la politica distaccata, consapevole, vista come gioco, parte del "sogno". La leadership politica deve essere sognante, rinnovarsi continuamente; deve diventare poesia e come tale, un processo di integrazione dell'essere.


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venerdì 4 marzo 2016

"Sfuggire all'ipnosi collettiva" di Stefano D'Anna

«Accanto a Me potrai deragliare dai solchi del tuo destino inflessibile – disse – accanto a Me potrai spezzare il cerchio meccanico delle tue abitudini, dei tuoi sensi di colpa... Accanto a Me dovrai rinunciare al dubbio, alla paura, ai tuoi pensieri distruttivi... dovrai abbandonare la bugia che ti lega alla descrizione mortale dell’esistenza.»
«Quando un uomo è irrimediabilmente deluso dalla sua vita... Quando realizza la sua incompletezza, la propria impotenza, quando l’esistenza lo stringe in una morsa senza respiro, solo allora... appare la Scuola.»
«Per cambiare, dovrai lottare con la tua programmazione! – incalzò – Dovrai capovolgere la tua visione. Solo così, e attraverso un lungo lavoro, potrai cambiare il tuo destino... Un uomo da solo non potrà mai farcela. Ha bisogno di una Scuola.»
L’accento che mise sulla parola ‘scuola’ ed il contesto in cui la usò mi fece intuire l’esistenza di un significato oltre l’ordinaria accezione. Mi sembrò di sentirla per la prima volta. Scoprii in essa una forza che non vi avevo mai trovato prima e la dolcezza di una promessa da tempo dimenticata.

Seduto al caffè di quella città sconosciuta, Lo ascoltavo raccogliendo pagine di appunti. Avevo la sensazione che il mio apprendistato iniziato in quella singolare residenza, e poi a Marrakech, seguisse una pedagogia segreta, le linee di un disegno mai interrotto.
«Tu sei la causa di tutto e ogni cosa. Un giorno quando sarai guarito, saprai che tu sei le radici del mondo. Il mondo per esistere ha bisogno di te...
Un pensiero mi percorse come un brivido.
«Incontrare la Scuola è l’evento più straordinario della vita di un uomo... l’unica opportunità per sfuggire alla ipnosi comune – epilogò il Dreamer – per realizzare che tutto quello che vedi e ti circonda non è il mondo... ma solo una descrizione.»
«Cos’è la Scuola?» chiesi. La voce era tremula, ed io stesso fui sorpreso dalla mia emozione.
«La ‘Scuola’ è il viaggio di ritorno» disse il Dreamer. I Suoi occhi scuri brillavano di una gioia segreta.
«Trovare la Scuola significa legarsi al ‘sogno’ con un cavo d’acciaio... significa poter accedere alle zone più alte della responsabilità. Solo pochi tra i pochi possono sostenere un tale incontro» concluse.
«Non temere... sarà la Scuola a trovare te» rispose il Dreamer. Poi, osservando il mio smarrimento, mitigò la laconicità di quella risposta ed aggiunse:
"Hai dimenticato di essere l’artefice, l’inventore, e sei diventato l’ombra della tua stessa creazione.». Il tono che usò annullò quel divario sul nascere e mi rimise in riga, come uno scolaretto.
«Il mondo è soggettivo, personale!... È il riflesso speculare del nostro Essere... Visione e realtà sono la stessa ed identica cosa; ciò che li divide è solo il ‘fattore tempo’... »
Avrei voluto dire di sì. Accettare la Sua visione. Eppure, qualcosa in me si opponeva. La mia razionalità vacillava ma non cedeva. Com’era possibile trovarsi di fronte ad uno stesso oggetto, panorama, evento o persona, ed averne visioni diverse?
«Ma esisterà bene una realtà oggettiva! – affermai per mettere un puntello alle mie convinzioni di sempre – In fondo una cosa non può essere nient’altro che quello che è... »
Il Dreamer mi rivelò che Scuole di preparazione per uomini straordinari erano sempre esistite, in tutti i tempi ed in tutte le civiltà. Queste ‘scuole’ al di là delle differenze filosofiche e culturali che sembravano distinguerle, erano in realtà una sola Scuola.
Ancora tentavo di difendere le ‘mie’ credenze, ma sapevo che, per quanto radicate, non avrebbero resistito. Erano destinate ad essere sovvertite a contatto con la visione del Dreamer. Anche questa volta, come tutte le altre volte, ci sarebbe stato l’imprevedibile prodigio: quello scatto nella comprensione che, accanto a Lui inevitabilmente avveniva senza tuttavia poter prevedere come e quando. Desideravo e temevo quella trasmutazione.
La sua voce era rimasta immutabilmente la stessa, il suo pensiero aveva attraversato tutti i tempi e tutte le civiltà. Questa scuola Egli la chiamò la ‘Scuola dell’Essere’: una fucina universale di sognatori, dove uomini visionari, utopisti luminosi, hanno da sempre affinato il loro intento.
Quando finalmente accadeva, sentivo le pareti dell’Essere allargarsi a dismisura per fare spazio ad una visione più chiara, più libera, più intelligente del mondo.
Aspirò intensamente le volute aromatiche che esalavano dal Suo tè, poi sottovoce completò:
«La Scuola degli Dei... dove, prima ancora di poter governare gli altri, si impara a governare se stessi.» La Sua voce mi diede i brividi. Si era trasformata nel sibilo marziale di un guerriero in azione.
«Noi possiamo vedere solo ciò che siamo!»
Poi con il Suo inimitabile umorismo, sottilmente prossimo al sarcasmo, dichiarò:
«Se un ladro incontrasse un santo ne vedrebbe soltanto le tasche.»
Ripensai alla tradizione classica, anteriore all’età di Omero, che divideva l’umanità in due specie infinitamente distanti tra loro: gli eroi, campioni di un’umanità sognante, individui capaci di dare concretezza all’impossibile, e una moltitudine indeterminata di esseri senza volontà, senza sogni, senza volto.
Questa boutade fu per me illuminante e per qualche istante indugiai in quell’immagine comica ed istruttiva. Ma il Dreamer aveva già ripreso il Suo discorso con piglio severo, come se quella divagazione, per quanto minima, l’avesse fatto rallentare o divergere fin troppo dall’obiettivo del nostro incontro.

«Solo l’incontro con la Scuola può permetterci di sfuggire alla rigidità di una vita ordinaria.
Soltanto un ‘lavoro di scuola’ potrà un giorno permetterci di ‘vedere’ il mondo al di là della sua falsa descrizione. Soltanto un ‘uomo di scuola’ potrà un giorno accedere ad una visione armoniosa, ad uno stato d’integrità. E solo una visione armoniosa e integra, potrà guarire il mondo.»

Estratto dal libro: "La Scuola degli Dei" di Stefano D'Anna



                                       IL PROSSIMO INCONTRO CON LA SCUOLA SARà A MILANO IL 16/17 APRILE